Viatico per l’Encomio di Elena

Siccome ho qualche timore che l’Encomio di Elena (d’ora in poi con la sigla EE) vi risulti enigmatico, eccomi qua a scrivere un breve testo senza pretese che v’accompagni nella lettura della traduzione che ne ho fatto.

Glisso sui dati biografici di Gorgia (485-375 a.C.), che potete facilmente trovare in rete, e mi limito a farvi notare che, come molti personaggi notevoli d’ogni tempo, Gorgia è originario della Sicilia. Inoltre, entrò in scena in un’età che, per l’epoca, era reputata piuttosto avanzata: arrivò, infatti, ad Atene (427 a.C.) circa sulla sessantina. E, dato che possedeva l’arte di ben invecchiare, fu anche estremamente longevo.

La maggior parte dei posteri lo ricorda soprattutto per il trattato Perì toû mè óntos (Sul non essere), che però ci è pervenuto grazie ad una testimonianza molto successiva; Sesto Empirico, infatti, visse circa sette secoli dopo Gorgia e ne fece una parafrasi che occulta il sapore del testo originale, il quale è andato perduto.

Al che, siccome sono da sempre fieramente nemica d’una visione “contenutistica” della filosofia, ho preferito privilegiare un testo che, invece, conserva intatto il linguaggio di Gorgia, ossia l’EE, per l’appunto.

Lo tradussi, dai trent’anni in poi, a più riprese, con vari ritocchi, lungo tutto l’arco della mia vita e ogni volta mi veniva da piangere leggendo ad alta voce il testo greco, così ricco di ritmo e di assonanze e anche d’invenzioni lessicali: tutte cose che sapevo sarebbero andate irrimediabilmente perdute.

Cionostante, feci del mio meglio, talora con un tono “sopra le righe”, di cui vi chiedo venia, ma, al contempo, sforzandomi sempre d’essere concisa, anche perché quasi ogni sostantivo e ogni aggettivo avrebbe richiesto come minimo un’endiadi, ovvero due parole – spesso anche tre – per spiegalo.

Giunta ora in prossimità della settantina, cominciò a seccarmi parecchio che la mia traduzione fosse relegata all’interno di libri o di articoli per lo più irreperibili e così vi misi mano – giuro per l’ultima volta – per poterla poi collocare qui, nel mio sito.

 

Ma perché Gorgia, scelse di difendere proprio Elena e non un’altra eroina?

Semplice: perché era il personaggio mitico femminile che godeva della reputazione peggiore. Non tanto nei poemi omerici, dato che, nell’Iliade, Elena vien dipinta come innocente dall’accusa di adulterio, in quanto sopraffatta dalla volontà degli dei; per non parlare dell’Odissea, in cui Elena giganteggia come una figura semidivina, dotata di poteri magici, oltre che di preveggenza.

Sicché, quando Gorgia dichiara che tutti i poeti hanno parlato male di Elena (EE, § 2), non sta alludendo tanto ai poemi omerici quando al teatro tragico, che ce ne fornisce un ritratto di donna “di facili costumi”, vanesia e civetta, per di più, donna perniciosa, visto che causò infiniti lutti sia ai Troiani, che agli stessi Greci.

La guerra di Troia, per capirci.

Fa eccezione l’Elena di Euripide, che mette in scena una sorprendente Elena fedele, dispiaciutissima della sua cattiva fama, ma, non per questo, meno scaltra e seduttrice.

Al che, due sono i casi: o Gorgia scrisse l’EE prima che tale tragedia venisse rappresentata (412 a.C.) o, se la conosceva, preferì ignorala.

A prescindere dal fatto che sono allergica a tali, peraltro irrisolvibili, problemi di datazione, a mio parere, si tratta d’una questione irrilevante. A Gorgia, infatti, preme ergersi solitario contro un coro compatto di detrattori di Elena per meglio far risaltare l’originalità e insieme il rischio della sua impresa. Scrivere, insomma, la lode di un’eroina tanto vituperata, di cui Gorgia si vuol far passare come unico difensore, ha per lui l’inebriante sapore della sfida.

Appurato questo, se ne deduce facilmente che a Gorgia non interessava tanto riabilitare Elena, quanto scegliere un tema più arduo possibile per mostrare in maniera ancora più eclatante la sua abilità nel sostenere un argomento difficilissimo.

Perché proprio questo è il vero lo scopo dell’EE, che non è tanto una lode di Elena quanto piuttosto un autoencomio: Gorgia – parliamoci chiaro – vuol far risultare come invincibile la sua capacità di architettare un discorso irresistibilmente persuasivo.

Non a caso, la summa summarum della sua argomentazione è mostrare che Elena non può mai essere ritenuta colpevole perché persuasa dal lógos di Paride, cui non poté opporre resistenza.

A guardar bene, nemmeno Paride interessa granché a Gorgia, il quale c’invita piuttosto a vedere in trasparenza, dietro al bel seduttore, dietro al rapinoso rapitore, lo charme irresistibile del suo lógos: quello di Gorgia stesso, ça va sans dire!

Ebbene, che Gorgia stia parlando sempre e solo di sé, nel senso che la sua istanza autobiografica fa tutt’uno con la sua valentia oratoria, lo si capisce dal ricorso continuo alla prima persona singolare.

Facciamo così: non vi voglio segnalare tutte le frasi in cui il verbo si riferisce all’ “io” di Gorgia, mi preme solo avvertirvi che non succede di rado. Sarete poi voi che, leggendo, vi farete attenzione e non potrete darmi torto. 

Ricapitolando, protagonista assoluto dell’EE è il lógos gorgiano, di cui vien proclamata l’irresistibile potenza (EE, § 8).

Ci tengo a sottolinerarlo perché, tra l’altro, non son affatto d’accordo con coloro – e sono la maggioranza – che vedono nell’EE, soprattutto nei paragrafi finali (EE, §§ 16-20), il lógos cedere il passo alla potenza della vista e poi dell’eros, scatenato dalla visione di chi è amato.

Eh no: è casomai l’esatto contrario!

Ogni volta, infatti, che Gorgia esalta la cogenza di un qualche agente, sia esso l’incantesimo della magia (EE, § 10), l’effetto dei farmaci (EE, § 14), il provare sentimenti di terrore o di pietà grazie alla poesia (EE, § 9) e, da ultimo, lo scatenarsi dell’amore (EE, § 19), non dobbiamo mai dimenticare che abbiamo a che fare unicamente con altrettanti esempi di come al lógos – stiamo parlando del suo lógos, beninteso – sia vano cercare si resistere. Un lógos che sembra essere analogo a tutto ciò che ho appena elencato ma che, alla fin fine, surclassa tutto e tutti.

Adesso, vi voglio dare un consiglio pratico: ogni volta che, leggendo l’EE, vi par di perdere la bussola, non scoraggiatevi e rileggetevi il paragrafo 8 e, subito dopo, il 13 e vi assicuro che ci vedrete subito più chiaro.

Lo so, proverete inizialmente non poche perplessità davanti a quel famigerato “corpo piccolissimo” di cui, a detta di Gorgia, il lógos sarebbe dotato e sicuramente vi chiederete di che diavolo stia mai parlando.

Niente paura: ci sono passata anch’io ma poi ne sono venuta fuori.

Le risposte tradizionali non mi soddisfacevano per nulla e una in particolare la reputavo particolarmente ridicola: c’è chi sostiene che Gorgia stia alludendo alla lingua: quella che teniamo in bocca.

Bah!

Avvolta com’ero da una fitta nube di dubbi, improvvisamente fui folgorata da un raggio di sole: ma sì era chiaro! Gorgia stava parlando semplicemente del corpus del suo piccolo testo!

Inoltre, che per Gorgia il suo lógos faccia tutt’uno con la sua scrittura lo si arguisce proprio dal paragrafo 13, laddove si dice esplicitamente: “(…) un solo lógos diletta una gran moltitudine e riesce a persuadere perché è scritto con arte, non perché è detto secondo verità”.

Ebbene, un’affermazione di tal fatta faceva infuriare Platone, ma non posso spiegarvelo per filo e per segno, come vorrei.

Ad esempio, dovrei parlarvi diffusamente del Fedro e mi sto già dilungando troppo…

Vi basti sapere che Platone, diffidava della scrittura – salvo poi lasciarci un corpus di dialoghi tutt’altro che “piccolissimo” – e, se avesse potuto, avrebbe messo al bando del tutto la persuasione.

Ma nessun filosofo, che desideri esser letto senza far piombare nel sonno chi affronta i suoi testi, può fare a meno d’una buona dose di persuasione…

Platone, in particolare, era nemico giurato della persuasione perché detestava l’inganno esercitato dalla retorica.

Tra parentesi, cercheremmo invano il termine “retorica” nell’EE, dato che Gorgia preferisce parlare direttamente di lógos.

Un lógos che a Gorgia stesso sta a cuore non certo perché pretende di cogliere la verità, bensì per la sua stessa efficacia.  

Al che, Platone, sicuramente scandalizzato dalla spregiudicatezza di Gorgia e sicuramente invidioso del suo enorme successo, dedicò un dialogo al grande Siciliano, ma giocò sporco.

Ovvero, Platone, ci dipinse un Gorgia decrepito e stanco – sappiamo che, invece, da varie testimonianze che il Nostro era lucidissimo e combattivo anche quando era assai anziano – un Gorgia senza fiato, che lascia presto la parola ai suoi discepoli.

Ma noi, per fortuna, per farci un’idea di Gorgia, non abbiamo solo il Gorgia ma anche quel piccolo gioiello che è l’EE.

A proposito del vero Gorgia, credete che se la sia presa a male quando lesse il dialogo a lui dedicato? Nemmeno per sogno! Perché dovete sapere che Gorgia, saggio e pieno di nonchalance nei confronti di chi lo attaccava con acredine non era disposto a perdere così facilmente il buonumore. Infatti, secondo la testimonianza di Ateneo (Deipnosofisti, XI, 505 d), pare che abbia ribattuto che Platone era bravo nel prenderlo in giro.

E immaginiamoci anche – perché no? – una scrollata di spalle di Gorgia.

Ovviamente, se con le testimonianze, specie se tarde, è meglio andare con i piedi di piombo, resta il fatto inoppugnabile che Gorgia amava davvero la celia perché eccelleva nell’arte di non prendersi sul serio…. dote per lo più sconosciuta ai filosofi di ogni epoca, ve lo posso garantire!

Un mio amico sostiene che i filosofi, tranne qualche rara eccezione, sono così tanto sprovvisti di autoironia da piombare facilmente nell’umorismo involontario. Beh, non posso che applaudirlo con calore, specie considerando la spocchia dei sedicenti filosofi che, proprio ai nostri giorni, tromboneggiando a tutto spiano, ammorbano i media.

Ebbene, niente di più lontano dal gaio modo di porsi di Gorgia.

Volete davvero toccare con mano quale fosse il carattere giocoso di Gorgia, decisamente agli antipodi del serioso Platone? Bene, leggiamo le ultimissime splendide parole dell’Encomio:

 

Io volli scrivere questo lógos come encomio di Elena, e soprattutto come mio giocattolo.  

 

 

Come conclusione, vi faccio leggere una celeberrima testimonianza di Plutarco (La gloria degli Ateniesi, 5, Moralia, 348 c; la traduzione è mia), che rende a meraviglia l’intento giocoso dell’EE:

 

Fiorì la tragedia e fu celebrata in quanto meravigliosa audizione e spettacolo per gli uomini di allora offrendo, grazie ai racconti dei miti e alle passioni, un’illusione (ápate) per cui, come dice Gorgia, colui che inganna (apatáo) è più giusto (díkaios) di colui che non inganna, e colui che si fa ingannare è più intelligente (sophós) di colui che resiste all’illusione. Colui che illudendo inganna è più onesto (díkaios) perché mantiene quello che ha promesso e quello che si fa ingannare sa più il fatto suo (sophós), infatti chi non è insensibile è più arrendevole a farsi catturare dal piacere dei lógoi.

 

Inoltre, vi si può vedere anche un originalissimo elogio della menzogna. Perché Gorgia architetta le sue finzioni in maniera ben più raffinata di quelle di Ulisse (Perché parlar male dei Cretesi?): infatti le bugie gorgiane si autodenunciano.

Tale gioco a carte scoperte è insieme il più malizioso e il più “innocente”… non nuoce, non fa male, perché mantiene la promessa da cui nasce (EE, § 21).

 

Bibliografia miratissima:

– Gorgia, Testimonianze e frammenti. Introduzione, traduzione e commento di Roberta Ioli, Roma, Carocci, 2013 (la bibliografia qui contenuta è assai ampia e aggiornata).

Alcuni miei testi dove ho trattato dell’EE:

– Elena o della velenosa bellezza, Padova, CLEUP, 1982 (prima traduzione dell’EE con relativa ampia introduzione).

– Elena, velenosa bellezza. Seguito da una traduzione dell’EE di Gorgia da Leontini, con testo greco a fronte, Milano, Mimesis, 1990 (versione rivista dell’EE e revisione dell’introduzione).

– Sulle tracce d’un antico duello: le Baccanti di Euripide a tenzone con le Rane di Aristofane, “Simplegadi”, 8, giugno 2003.

– Quel «corpo piccolissimo»: un enigma di Gorgia da Platone e da Aristotele sepolto, “Simplegadi”, 24, giugno 2004.

– Gorgia, Encomio di Elena, traduzione di Maria Tasinato, “Verfiche”, anno XXCIV, 1-2, gennaio-giugno 2005; in questo stesso numero della medesima rivista: Gorgia e il suo «lettore». Un’ipotesi per rileggere il sedicesimo paragrafo dell’Encomio di Elena.   

– L’invidia del filosofo. Un complotto di Platone, Aliberti, Reggio Emilia, 2008 (contiene, tra l’altro, la penultima traduzione dell’EE, ossia la medesima di “Verifiche”, ma anche una sua divertente parodia: Paride si difende).