Nei primissimi giorni di questo anno ero ancora felicemente ignara della pandemia che stava per abbattersi sul pianeta.
E in tale beata inconsapevolezza cominciai a mettere per iscritto un personalissimo, annoso, problema: il dissidio insanabile col mio corpo.
Contemporaneamente, volevo trarre le somme di un’intera vita trascorsa in intimità con la filosofia e illuminata dal mio incoercibile amore per gli Antichi.
E mi proponevo di farlo senza falsi pudori.
Cominciai con un tono leggero alludendo – me ne rendo solo ora conto – a cose che oggi sembrano risucchiate in un passato remoto: le appassionanti discussioni filosofiche con un bicchiere in mano, in qualche piccolo locale, i frequenti viaggi all’estero, le molte lunghissime camminate, i reiterati soggiorni nelle montagne da me più amate – gli Appennini. Dando per scontata, insomma, una vita beatamente errabonda, fuori da ogni costrizione.
Tutto l’esatto contrario dell’umbratile esistenza di reclusione coatta in cui mi trovai a vivere, e ancora sto vivendo, assieme a milioni e milioni di abitanti della terra, nel tentativo, forse vano, di arginare il contagio.
In particolare, il Corona Virus, si manifestò con repentina e spaventosa violenza mentre mi apprestavo a concludere, rischiando di farmi buttare tutto nel cestino.
Ma poi decisi di non farlo.
Perciò vi chiedo scusa se questo piccolo scritto non ha un tono omogeneo: ho preferito lasciarlo nella sua stesura originaria perché restasse come testimonianza; nella prima parte, di un mondo forse perduto per sempre e, nell’ultima, dell’irrompere dell’incalcolabile, del non-controllabile per eccellenza.
Ancora una volta, ricorrendo alle risorse per resistere che ci vengono dalla filosofia.
Perciò, se davanti a questo mostruoso e tentacolare morbo, non volete chinare la testa, cliccate qui.